Autore: Antonio Santoro. Scuola di Specializzazione in Nefrologia, IRCCS Azienda Ospedaliero-Universitaria di Bologna

In condizioni fisiologiche, l’omeostasi idrica si realizza attraverso l’equilibrio tra l’acqua introdotta con il cibo e le bevande, che si viene a sommare con l’acqua prodotta dal metabolismo, e le perdite di acqua tramite la respirazione, la traspirazione e l’eliminazione con l’urina. Diverse situazioni patologiche, che vanno dallo scompenso cardiaco (SC), alla malattia renale cronica (MRC), alla sindrome nefrosica (SN) e alle gravi epatopatie, comportano uno squilibrio tra liquidi ingeriti e liquidi eliminati, generando un accumulo di acqua nello spazio extracellulare. In queste situazioni il ripristino di un certo equilibrio idrico può essere perseguito con l’utilizzo dei farmaci diuretici. Il loro corretto utilizzo si basa però, sulla conoscenza dei singoli meccanismi di azione e della loro farmacocinetica.
I diuretici classici, ad eccezione dell’acetozolamide sono principalmente farmaci natriuretici mirati, in particolare. ad agire su un trasportatore di sodio a livello apicale lungo il tubulo renale. Tre sono le condizioni patologiche, che richiedono l’impiego dei diuretici in Nefrologia: MRC, Insufficienza Renale Acuta (IRA) con danno renale acuto (AKI) e le SN.
Nella MRC con il progredire della disfunzione renale, occorre mantenere il bilancio idrosalino nonostante vi sia una riduzione del numero dei nefroni. Inoltre, l’attivazione del SRA sistemico ed intra-renale, limita ulteriormente l’eliminazione di sodio e quindi si rende necessario ridurre l’introduzione del sale con la dieta e favorirne l’eliminazione con l’impiego dei diuretici, in particolare quelli dell’ansa e cioè furosemide, torasemide, bumetanide. La concentrazione intraluminale dei diuretici nei pazienti in stadio 5 della MRC è solo il 10-20 % rispetto a quella che si ha nella normo-funzione renale, per cui occorre aumentare i dosaggi in rapporto al deficit funzionale renale. Tuttavia, sebbene un VFG ridotto limiti l’effetto di un diuretico nei pazienti con insufficienza renale cronica, gli incrementi adattativi dei fluidi provenienti dal tubulo prossimale, insieme ad una sovra-espressione del trasportatore (sia nell’ansa di Henle che il tubulo distale), preservano una certa risposta diuretica anche in pazienti con insufficienza renale cronica molto avanzata. Però i pazienti con MRC hanno la tendenza a ritenere sodio come fanno i pazienti con SC e SN. Pertanto, è necessario ridurre il sale nella dieta e talora riconsiderare l’associazione con i tiazidici a seconda dello stadio di MRC (Figura 1).

Figura 1. I diuretici nel corso della Malattia Renale cronica e nella Sindrome Nefrosica.

Recentemente si è avuta una rivalutazione in particolare del clortalidone, che si è rilevato utile nel trattamento della ipertensione arteriosa resistente, in pazienti con MRC in stadio avanzato. Il metolazone ed il clortalidone, anche se non più potenti di altri diuretici, hanno entrambi una lunga durata d’azione e vengono compartimentalizzati nei globuli rossi.

Queste caratteristiche farmacocinetiche comportano una diuresi, anche se di basso livello, per un periodo di tempo più lungo rispetto ad altri diuretici. Nel paziente con importante riduzione della diuresi e sovraccarico idro-sodico è generalmente acclarato che i diuretici dell’ansa debbano essere somministrati per via endovenosa. Lo stesso nei casi di scarsa biodisponibilità per os o quando è richiesta una rapida risoluzione del sovraccarico di liquidi. Per avere una buona risposta natriuretica (circa il 20 % del Na filtrato) anche con severa IR, vanno massimizzate le dosi di furosemide (160-200 mg), della bumetanide (6-8 mg) e della torasemide (80-100mg). Al di sopra di questi dosaggi non si ottiene però un ulteriore effetto natriuretico. Il bolo diuretico per via endovenosa consente effetti positivi più rapidi sui sintomi di congestione, mentre l’infusione continua (che può seguire il bolo iniziale), può essere più efficiente garantendo un costante livello plasmatico del farmaco. In corso di AKI, alte dosi intermittenti possono risentire dell’ipoperfusione renale e di un riempimento vascolare insufficiente, soprattutto nei pazienti con compromessa funzionalità cardiaca. L’oscillazione della concentrazione plasmatica del farmaco dopo terapia endovenosa intermittente può essere associata ad una rapida fluttuazione della natriuresi e al rimbalzo della congestione post diuretica conseguente ad un iper-riassorbimento sodico.

Il furosemide è il più comune diuretico dell’ansa utilizzato nei pazienti critici e numerosi studi clinici sono stati realizzati per valutarne l’efficacia nell’AKI in termini di morbilità e mortalità. Alcuni studi hanno dimostrato che la furosemide ha mostrato effetti neutri o deleteri nel trattamento dell’AKI. Al contrario, altri studi hanno fatto intravedere che il furosemide potrebbe ridurre la necessità di sostituzione renale terapia (RRT) e attenuare la gravità dell’AKI (tabella I).

Tabella 1. Vantaggi e svantaggi nell’uso dei diuretici in corso di IRA.

La SN rappresenta il terzo scenario clinico di utilizzo dei diuretici in Nefrologia. Spesso la SN si presenta come uno stato di resistenza ai diuretici per alterazioni della farmacocinetica e della farmacodinamica. Inoltre, in presenza di ipoalbuminemia, frequente in corso di SN, poiché la secrezione renale è fortemente dipendente dalla concentrazione plasmatica di albumina, si realizza una minore concentrazione tubulare. L’ipoalbuminemia condiziona un passaggio di furosemide dallo spazio vascolare a quello interstiziale con incrementi di anche 10 volte dello spazio di distribuzione del farmaco. Infine, il metabolismo diuretico aumenta con un aumento del tasso di glucuronidazione, che è specifico per furosemide.

Nei pazienti con SN scompensata, la relazione dose-risposta per l’effetto diuretico è molto ridotta per l’intervento di diversi fattori. I diuretici possono legarsi all’albumina nel fluido tubolare, quindi viene a ridursi la quantità di farmaco attivo, non legato, disponibile all’interazione con il suo recettore tubulare. Le dosi raccomandate in SN sono da due a tre volte superiori a quelle in condizioni normali (figura 1). Vi è anche un maggiore riassorbimento di sodio a livello del tubulo prossimale e distale per sovra-espressione del SRA intra-renale. Pertanto, va limitato l’apporto di sale con la dieta oltre l’impiego di farmaci bloccanti il SRAA. La scelta di una dose iniziale di un diuretico dell’ansa nei pazienti con SN dovrebbe prendere in considerazione il livello di funzionalità renale, il grado di albuminuria, ed il tasso di albumina sierica. A volte, a seguito della somministrazione dei diuretici, la funzione renale può ridursi quando il volume urinario supera il tasso di riempimento del compartimento vascolare dallo spazio interstiziale (refilling plasmatico). In questi casi sono utili dosi refratte, anche se a dosaggio singolo ridotto. In caso di insuccesso nella ripresa della diuresi o per un suo potenziamento, può essere utile l’associazione con un tiazidico e/o di un anti-aldosteronico. Nei pazienti gravemente ipoalbuminemici si può tentare l’associazione furosemide-albumina somministrati sotto forma di pre-miscela o in somministrazione contemporanea. In conclusione, l’uso dei diuretici in corso di malattie renali richiede esperienza, conoscenze farmacologiche ed avvedutezza terapeutica.